Aforisma – genere letterario
Aforisma
Aforisma assume, secondo i tempi e gli attori, differenti nomi. “Anforismo” viene chiamato da Luigi Pulci (Vocabulista, 1464-65), dal medico Leonardo Fioravanti (Il reggimento della peste, Sessa, VE, 1571), da Tommaso Campanella e da Emanuele Tesauro; “ricordo” per Francesco Guicciardini; “avvenimento” per Giovanni Francesco Lottini; “proposizione” per Cesare Speciano, “Massimo” e “sentenza” per Giammaria Mazzuchelli, “pensiero” per Alessandro Tassoni, Francesco Algarotti, Niccolò Tommaseo, Blaise Pascal e Aristide Gabelli; “degnità” e “assioma” per Giambattista Vico.
Aforismi per antonomasia furono fino al 1769 quelli usati in campo medico, prima da Ippocrate e poi dalla Scuola medica salernitana, mentre verrà estesa all’astrologia da Girolamo Cardano e alla politica da Tommaso Campanella.
Nell’Ottocento filosofi come Arthur Schopenhauer, Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche si sono cimentati in aforismi all’interno delle rispettive opere.
A partite dal Novecento aumentano, con carattere metaforico, i nomi dati al termine aforisma. Così troviamo in Giovanni Boine “frantumi” e “fosforescenze”, in Federigo Tozzi “barche capovolte”, in Umberto Saba “scorciatoie”, in Camillo Sbarbaro “fuochi fatui” e “asterischi”, in Ennio Flaiano “errori”, in Giovanni Papini “schegge”, in Alessandro Morandotti “minime”, in Paolo Bianchi “lampi”.
Tra i principali scrittori di aforismi italiani del Novecento possiamo ricordare, oltre a quelli appena citati: Gesualdo Bufalino, Arturo Graf, Leo Longanesi, Ugo Ojetti, Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini.
Tra i principali aforisti stranieri del Novecento si possono ricordare: Emil Cioran, Nicolás Gómez Dávila, Joan Fuster, Kahlil Gibran, Hugo von Hofmannsthal, Karl Kraus, Stanisław Jerzy Lec, Paul Valéry e Ludwig Wittgenstein.